Rinomata per essere una delle ROM più flessibili disponibili sul mercato “portable”, dove al momento si contano circa settanta modelli di smartphone e tablet su cui è possibile emularne le funzionalità, CyanogenMod, con il suo supporto a carattere open source di funzionalità secondarie difficilmente riscontrabili sui firmware prodotti da Google, pare non passarsela bene sul proprio domicilio presso Google Play Store, come abbiamo visto qualche giorno fa (leggi qui).
L’utilissimo installer che permetteva agli utenti di effettuare overclock, tethering, modificazioni al design e tante altre migliorie, è infatti stato completamente rimosso dal celebre servizio di distribuzione app per Android.
Cyanogen stessa ha visto recapitarsi un avviso secondo cui l’applicazione non è in grado di corrispondere a tutti i requisiti richiesti (le famigerate Condizioni d’Uso) andando ad infirmare la garanzia del dispositivo.
Gli utenti più smaliziati non si sono comunque lasciati sorprendere, ricorrendo alla pratica del sideloading (trasferimento dei dati relativi all’app tramite due o più dispositivi a livello locale, tipicamente uno smartphone/tablet in grado di ricevere l’application package in formato APK), attivando i classici permessi di download impostati su “origini sconosciute”, per ottenere la tanto agognata nuova versione dell’installer.
Cyanogen, dal canto suo, ha precisato che il proprio tool non fa altro che attivare l’Android Debug Bridge, che come gli sviluppatori sanno, fa parte di una voce di Debug ben accessibile nell’ambito del developing.
Gli elementi successivi di bootloading e download, assieme alle altre procedure peculiari del sistema, vengono aggiunte solamente in una fase successiva, e su desktop.
Va ricordato, infine, che sempre più produttori di dispositivi mobile quali HTC e Sony hanno col tempo imparato a fornire supporto agli installer di natura consimile a Cyanogen; ed LG Italia ha addirittura comunicato l’estensione della garanzia del device anche qualora ospitasse dei firmware risultanti da modifiche e ampliamento dei permessi di root.
Non c’è dunque altro da attendersi se non una progressiva apertura di tutti gli operatori verso questo affascinante mondo di “hacking” delle proprie periferiche.
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