Gli appassionati di tecnologia e medicina ricorderanno il recente caso di Walter Visigalli, che a poco più di vent’anni perse una mano in un incidente traumatico, riparando alla mancanza con un arto proveniente da un donatore.
Dopo una serie di rigetti della nuova appendice, e costretto ad innumerevoli patimenti, Visigalli è riuscito a presentarsi al mondo con una nuova mano, completamente artificiale, sfrutta una tecnologia in titanio e carbonio per quanto riguarda la componentistica interna, mentre all’esterno è avvolta dal tocco naturale del silicone; ed è in grado di emulare le principali funzioni tra cui lancio, presa, scrittura e capacità di afferrare numerosi oggetti di uso comune.
L’esempio di Visigalli, primo italiano ad avere implementato un arto bionico in Italia, è stato recentemente ripreso dagli sviluppi recenti della robotica, per aiutare i pazienti a riacquisire l’autonomia perduta e l’indipendenza da aiuti esterni.
L’importante compito di trasmettere stimoli di sensibilità (caldo-freddo, ma anche del semplice tocco), infatti, è riuscito parzialmente, almeno finora.
La Case Western University sta sviluppando a questo proposito una tecnologia che consenta di filtrare millimetricamente il movimento, offrendo quella che si può definire “forza giusta al momento giusto”.
Il test di precisione, in particolare, ha richiesto al volontario di prelevare con delicatezza delle ciliegie, senza comprimerle troppo e salvandone il gambo.
Senza la tecnologia apposita, la persona al centro dell’esperimento, disorientata dalla presenza di rumori supplementari ed inoltre bendata, mostra non poche difficoltà nell’individuare il frutto.
Applicando invece il device e rilevando l’impulso mioelettrico (muscolare) grazie ad una ventina di sensori in grado di rilevare la minima resistenza, le prove hanno un successo incredibile, riuscendo in oltre il 90% dei casi.
Componente fondamentale del dispositivo è un elemento chiamato “Cuff Electrode”, già noto in altri campi della medicina tra cui l’ottica, e sfruttato generalmente per rendere intercomunicanti parti di organi non completamente connessi a seguito di incidenti o problemi di varia natura.
Il prodotto uscirà a breve dalla fase di test, per passare ad ulteriori controlli che lo renderanno sicuramente la “next big thing” della tecnologia applicata alla medicina, e viceversa.
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