Le ultime novità di Google non si limitano al tanto atteso e nuovo aggiornamento Android 7.0, il successore di Marshmallow che si ripromette di offrire al centro dell’esperienza su tablet una nuova modalità split screen, per un’interazione e una lettura dello schermo comoda e veloce, ma vanno oltre la semplice release di un sistema operativo mobile, fino a coinvolgere DeepMind, acquisita da Big G due anni fa e diventata in breve tempo il centro di una serie di innovazioni relative alla robotica ed all’intelligenza artificiale difficili da oltrepassare, anche per rivali di grandi aspettative come IBM.
Gli ultimi progressi di DeepMind possono essere sintetizzati in un evento recente che ha reso sicuramente felici i sostenitori internazionali delle applicazioni legate alle AI, le intelligenze algoritmiche che continuano a sviluppare, sia in maniera autonoma che grazie all’input degli assistenti di Google, le prime forme di “pensiero” cybernetico.
È prova di questo la vittoria di AlphaGo, intelligenza diventata esperta nell’arte del gioco cinese Go, contro il campione coreano Lee Se-Dol, che non è riuscito ad opporre resistenza per ben due match consecutivi ad un cervello bionico che continua ad imparare dall’elaborazione dei dati raccolti durante le sue stesse partite.
AlphaGo è un’ulteriore conferma che Google sta estendendo i limiti della capacità di reazione e, sicuramente, del pensiero umano: nonostante ora le principali applicazioni delle prime forme di AI siano limitate alla domotica o alla formulazione di software sempre più precisi e puntuali in grado di predire l’andamento di un fenomeno o di un linguaggio, il loro potenziale è decisamente vasto e destinato ad andare oltre la semplice funzione di assistente virtuale, per quanto evoluto ed utile.
Google ha commentato il recente risultato riferendo che potrebbero essere necessari solo due anni per creare assistenti virtuali in grado di superare gli attuali Google Now, Siri e Cortana, e “cinque in tutto” per ottenere risultati oggi impensabili.
L’ottimismo di Google dovrà quindi ricevere conferma soprattutto dal punto di vista del trattamento del linguaggio e della sintassi da parte delle AI, nonostante ad oggi siano stati molto validi i tentativi di far concepire ad un algoritmo alcune freddure e battute (il cosiddetto “computational humor”).
Possiamo quindi definire la ricerca alla base dell’intelligenza artificiale una vera e propria arte, che integrerà sempre più discipline, dalla domotica, alla biologia, alla linguistica, per ottenere prima o poi un sistema attualmente impensabile per estensioni e capacità.
Sarà sicuramente qualcosa di cui verranno rivelati molti dettagli alla prossima Google I/O 2016, l’evento di San Francisco che farà luce su tantissime novità Google, e di cui vi racconteremo non appena arriverà l’atteso momento.
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