Recentemente, è stata posata una delle pietre miliari dell’evoluzione delle prime rudimentali intelligenze artificiali, nientemeno che a pochi giorni dalle celebrazioni del sessantennio della morte di Alan Turing, logico matematico e padre dell’informatica moderna, noto per avere ideato l’omonimo test in grado di distinguere le possibili relazioni e differenze nell’interazione tra “macchina” e “umano”.
Un chatbot di nome Eugene Gootsman, ideato dai russi Vladimir Veselov e Eugene Demchenko, si è rivelato in grado di passare il celebre test con un grado di precisione del 33%: dagli studi di Turing sappiamo invece che è necessaria una percentuale del 30% per ritenere la conversazione scritta di un applicazione o di un software del tutto simile a quella di un umano.
Eugene è riuscito ad “ingannare”, così, una platea di quattro giudici, che hanno commentato con orgoglio l’evento finora mai testimoniato.
Al centro delle osservazioni di Turing rimangono, infatti, quesiti di estrema importanza per comprendere le intelligenze artificiali: “una macchina è in grado di pensare?” Eugene, rispondendo in maniera del tutto attinente alla conversazione intrapresa dai giudici, ha dato prova di essere un sofisticato emulatore del pensiero umano, in grado di comprendere quanto veniva scritto in chat.
Le conversazioni con bot automatici finora sono state implementate online con scarso successo, dovuto all’incapacità di apprendere in maniera coerente dalle conversazioni con partner umani.
Tuttavia, il grado di sofisticazione di Eugene fa ben presagire per un futuro in cui l’intelligenza artificiale potrà emulare uno spettro di emozioni sempre più ampio, e risolvere l’ambiguità lessicale tipica di alcune frasi, fattore su cui le moderne intelligenze, così come le più datate, stentano ad orientarsi.
Non mancano, comunque, i detrattori: la nota testata online dedicata alle nuove tecnologie “io9” si è lanciata in una spietata critica a riguardo dei metodi utilizzati per ingannare i giudici, ovvero l’uso da parte di Eugene, di frasi evasive e comunque fin troppo semplici o preprogrammate.
Che si sia concordi o meno, un nuovo livello di sofisticazione da parte delle prime rudimentali intelligenze artificiali è stato comunque raggiunto: ci auguriamo che possa essere una porta d’accesso in un mondo in cui il pensiero umano e cybernetico siano in grado di progredire di comune accordo.
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