Nonostante l’intera storia delle unità di memorizzazione di massa, o storage, abbia da sempre utilizzato termini quali “floppy disk”, “hard disk” e simili, il concetto di SSD (Solid State Drive), che vengono indicati spesso come gli effettivi successori dei classici HDD meccanici, non implica -come molti potrebbero pensare- la presenza effettiva di un disco nell’unità.
Non essendo infatti costituita da elementi meccanici quali piatti, attuatori e testine tali e quali a quelle di un tipico hard disk, un’unità a stato solido spesso induce in tentazione l’utente, credendo di poter aumentare la durata effettiva di questo supporto di memoria, non essendo previsti i tradizionali meccanismi di crash e rottura tipici delle unità finora utilizzate.
Malgrado ciò, la domanda che molti possessori di SSD (come unità esterne o inserite nel proprio PC) potrebbero porsi è la seguente: qual è la durata effettiva di questi supporti?
Iniziamo col considerare l’efficacia comprovata in termini di resistenza e minore suscettibilità agli sbalzi di temperatura dei nuovi SSD: non essendo previste parti in movimento né una vera e propria necessità d raffreddare i componenti in uso, un SSD si dimostra ben resistente agli urti di media entità, così come ad un uso intensivo e prolungato nel tempo.
Vantaggio considerevole, quindi, che di certo andrà a beneficio di chi possiede un PC in cui i supporti di storage sono costituiti interamente o quasi da queste unità.
Ricorderemo inoltre che ogni SSD, essendo sostanzialmente una memoria flash di dimensioni più imponenti, sfrutta il cosiddetto “effetto tunnel” per compilare i propri spazi con informazioni e dati. A seconda della tipologia dell’unità scelta, l’effetto applicato potrà incidere su un solo bit memorizzato per cella (unità Single Level Cell), fino a tre bit totali.
Sapendo che la durata dell’unità dipende dalle celle di memoria utilizzate, consideriamo l’unità a cella a singolo livello una delle più durevoli e veloci, essendo sottoposta ad un sovraccarico minore, avendo inoltre una maggiore capacità di gestire i contenuti della cella in questione.
Al momento, secondo vari studi i fattori da cui dipende la vita media di un SSD sono numerosi da prendere in considerazione, tuttavia la maggior parte delle unità va considerata come supporto a medio-lungo termine: i primi indizi di un eventuale malfunzionamento potrebbero esserci segnalati dal controller dell’unità, che accantonerà l’utilizzo di una cella nel caso in cui non dovesse più funzionare.
I test attuali, condotti anche su SSD molto economici, mostrano comunque una resistenza a cicli di lettura e scrittura abbastanza consistenti, ad oltre 2 petabytes.
Nel caso in cui si avessero comunque dubbi sull’efficacia e la vita residua dell’unità, sarà possibile accedere al test S.M.A.R.T. (Self Monitoring Analysis and Reporting Technology), utility presente anche sui classici hard disk, che permette di considerare per tempo i danni inosservati che potrebbero portare l’unità al malfunzionamento definitivo.
Come abbiamo visto, le unità SSD sono generalmente da ritenere affidabili nel medio-lungo termine. Tuttavia, così come avviene per tutti i supporti fisici di memorizzazione, è bene sottoporre tutti i contenuti ad un backup online, sincronizzando eventualmente i dati con un servizio di storage da noi preferito.
In attesa di nuovi studi sul funzionamento negli anni di queste new-entry nel panorama storage, vi consigliamo di attivare supporti di backup anche in locale, tra cui il celebre RAID-1, nel caso in cui voleste provare, ad esempio, l’ebbrezza della velocità di un OS caricato da questi rivoluzionari e utili supporti.
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